lunedì 25 maggio 2009

BO_TO_GO incontra Flavio Favelli

Un tavolo liberty. Una cornice dorata di fine ottocento. Un lampadario tipo Maria Teresa d’Austria. Potrebbe essere il ricco dono di un’eredità oppure il tesoro nascosto di una vecchia soffitta. Invece sono le opere di Flavio Favelli, artista fiorentino, ma bolognese d’adozione, appena insignito del premio Marconi 2009 per la scultura/arte ambientale. Manifestazione internazionale, costituitasi a Bologna, ancorata sin dai suoi natali al binomio arte e scienza e al concetto di comunicazione. Quest’anno resa più viva che mai per il centenario dell’assegnazione del Nobel al famoso scienziato che ne dà il nome. E confermata come fucina di nuove idee grazie alla presenza di Flavio Favelli.
Le sue sono autentiche operazioni di rivalutazione degli oggetti. Suppellettili e mobili più svariati provenienti dal passato, che attraverso interventi sottili, acquistano nuova dignità, a volte una diversa funzione, rinascendo a nuova vita. Ogni oggetto non viene trattato solamente come sintesi di forma e materia, ma come vero e proprio archivio di memoria e ricordi, medium di dinamica osmosi tra passato e presente. Affascinanti object trouvé a cui si aggiunge l’elaborazione manuale e artigianale. Pronti a raccogliere il passaggio di nuove vite e a significare nuovi spazi.
Per la premiazione, svoltasi il 25 Aprile, ha compiuto un’installazione nel chiostro di San Giovanni in Monte. Non ha pubblicato un saggio o un catalogo, come i suoi colleghi, ma ha creato una brochure con rielaborazioni degli sponsor dell’evento che dialogano con i loghi stessi. In questo caso una rielaborazione del logo e non dell’oggetto. Un opuscolo che diventa opera stessa. Bo_To_Go ha deciso di cogliere l’occasione per partire dal premio Marconi e porgli qualche perché…

- Dalle sue opere, si evince un forte legame con un tempo magico e perduto del suo vissuto. Me ne parli.
- Da bambino, ovviamente, ero convinto di vivere in un mondo tutto mio; era come essere dentro una scatola chiusa, ma trasparente solo per me. Allora si percepiscono certi rumori, una frase del nonno, un colore di una cravatta, i momenti tesi. Ci si difende, sembra tutto un film, una rappresentazione, si assiste con apparente tranquillità. Si crede di essere immuni. Ma anche la cosa più banale, poi, riemergerà con insistenza. Mi ricordo le scarpe che indossava mia madre quando, fuori dalla scuola, una sua conoscente disse: "Signora, hanno rapito Moro!" Già, quelle scarpe...
- Gli studi in Storia Orientale come hanno influito nel suo percorso artistico?
-Alla fine tutto influisce. Ho compreso che tutto ciò che avevo studiato non poteva rappresentare qualcosa di utile e di percorribile per il mio futuro. Non ricordo perchè il professore di persiano mi propose “Il messaggio di Kafka”, ma accettai subito: ero costretto a leggere testi che in qualche modo mi potevano aiutare.
Nell’ottobre 1992 il professore mi chiamò seccato dicendomi che da parecchi mesi, da quando avevamo scelto il titolo della tesi, non mi ero fatto più sentire. Avevo paura ad andare avanti.
...K. rimase a lungo sul ponte di legno che conduce dallo stradone al villaggio, a guardare il vuoto apparente.
La preoccupazione del professore per la mia scelta non semplice, il ricordo di un giovane ricercatore che la fece finita...., mi chiese se ero ebreo, ci mettemmo a parlare di mio padre.
...Donyà àn-qadr bonbast ham na-bude ast ...in fondo il mondo è un vicolo cieco. Spesso mi ritorna questa frase di Hedàyat, che mi accompagnò per tutto l’anno successivo; liberarsene non era facile.
La necessità di soffermarsi su ricordi, immagini, esperienze, comprendere e comprendersi, proprio come quando iniziai gli studi; allora la Mesopotamia e la Persia erano le architetture antiche, i pensieri religiosi, le torri del silenzio e poi i giardini, le moschee, i mille Islàm dalle mille sfaccettature; le mie immagini spesso si fondevano con queste.

- Le sue opere, essendo spesso utilizzabili e vivibili, interagiscono, dialogano con lo spettatore. Qual è il valore che dà a questo rapporto tra oggetto e spettatore?
- Direi apparentemente e potenzialmente. Non cerco il dialogo. Il rapporto è fra me e le mie immagini. Le opere-bar che ho fatto sono un'eccezione, lì il progetto si relaziona con l'uso.
- Qual è il legame tra la sua produzione artistica e l’originale operazione compiuta con il suo opuscolo, pubblicato in occasione del conferimento del premio Guglielmo Marconi?
- Nell'opuscolo c'era la pubblicità. Non volevo della pubblicità con le mie opere. Ho fatto una brochure di disegni sul tema della pubblicità e dei marchi.
- Tra i marchi presenti, anche alcuni non direttamente legati al mondo delle telecomunicazioni, quindi meno legati al concetto ispiratore del premio, e non inseriti tra gli sponsor. Come quello del Martini, della Lavazza e di una birra cinese. Perché questi intrusi?
- Alcuni marchi di aziende sono la storia della comunicazione e non solo del nostro paese e i marchi sono anche parte della nostra storia personale. Ho fatto un libretto dei marchi del premio e quelli miei preferiti.
- Qual è la tecnica utilizzata per queste opere?
- Matite colorate su carta.
- In generale, pensa che ci sia un legame tra il fenomeno del vintage e le sue operazioni artistiche?
- Il fenomeno del vintage riguarda qualità e valore, gli oggetti che uso hanno un valore personale, affettivo a volte morboso: il costume decide ciò che -del passato- è importante, nelle mie opere lo decido io.
- Si parla spesso di incontro ormai inscindibile tra linguaggio dell’arte e quello del design, tanto che, a tal riguardo, Germano Celant parla della formazione di un “nuovo statuto estetico”. Qual è la sua posizione in merito?
- Un oggetto di legno con 4 zampe è una sedia se la fa un designer, è una scultura se la fa un artista. Personalmente uso oggetti e materiali originali e spesso unici e non ho mai in mente una riproducibilità della mia opera e quindi sono molto lontano dal design. Ciò vale anche per alcuni progetti come i bar che ho fatto perchè sono anch'essi non riproducibili e non ho mai pensato ad una serialità industriale.
- Quali sono i suoi progetti futuri?
- Una grande (perchè uso i tre piani del museo) mostra al Museo Marino Marini di Firenze, il 16 giugno prossimo. Si chiama Abito vs Habitat perché il sole scotta anche con l’ozono, l’acqua è fredda anche se è pura e il vento, come si dice, fa diventare pazzi.



Leonardo Iuffrida

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